INCIPIT
Il suo cuore è un carbone vivo gettato in una secchia d’acqua.
«Mamma. Ti devo dire una cosa». Cristina sussurra mentre le lacrime che le rigano il viso non commuovono Rosalba. Anche se sono le lacrime di un agnello, di una tortora, sono solo per la madre acqua che scorre, e a lei non riguarda ciò che si muove, ciò che il tempo cambia.
«Che c’è? Che hai combinato?». E non c’è nemmeno interrogazione nei suoi occhi, come se nulla della figlia le importasse. Cristina si volta, si getta riversa sul divano e con la bocca che quasi ne tocca il rivestimento ruvido, con la testa tra le mani, e testa di colomba sotto l’ala:
«Sono incinta» dice.
Come avesse detto ho sete, o devo uscire, o vado al bagno. Rosalba non reagisce. Quasi che le parole di Cristina non siano che rumore aggiunto a quello del traffico, che scorre intenso nella strada. Un’auto suona violentemente il clacson. Arriva nella stanza, dalla finestra aperta, l’eco di una parolaccia. Rosalba non guida, non si mescola al traffico, esce malvolentieri, e lo spostamento del suo corpo non corrisponde ad alcun moto interiore.
«Non sei nemmeno fidanzata. Chi è?».
«Che faccio mamma. Che faccio?».
«Che fai? Ti sposi. Ti sposi. Non c’è altro da fare. Perché ti sposi, non è vero?». La risposta è uno zoccolo di cavallo che la prende in faccia. È pietra, è ferro, è acciaio la madre.
«E l’Università?».
«L’Università? Adesso ci pensi all’Università? Potevi stare attenta! Adesso te la sogni, l’Università, cretina!».
Cretina. Fin da piccola si è sentita chiamare cretina. No, non proprio fin da piccola, ma da quando è morto il padre. Cristina o cretina. Il suo nome. Cretina davvero. Cretina mille volte. Un milione di volte. Cretina quanto il numero delle stelle. Conti le stelle, pronunci i loro nomi: alfa tauri, alfa crucis, beta persei, zeta orionis, gamma virginis, beta orionis… e a ognuno ripeta la sua cretineria. Cretina ancora, mentre annuisce e non ha il coraggio di chiedere «e se abortissi?». Oppure «e se lo crescessimo da sole?». Per Rosalba la neve è neve, la sabbia è sabbia, il giardino è giardino. Ma la neve i lapponi la chiamano in mille modi, così gli arabi la sabbia, e i persiani il giardino. Rosalba manca di prospettiva, ed è incapace di dare alle cose un nome diverso dall’unico che conosce.